Nel 2007 ho pubblicato il mio primo libro, dal titolo I delitti della terza via (pagine 184, €. 14) edito da Inedition/edizioni di Lucidamente. (http://www.inedition.it/)
A distanza di cinque anni posso dire con soddisfazione che il libro ha avuto un ottimo riscontro in termini di critica e pubblico, e sono già state effettuate diverse ristampe.
Non si esclude un’ulteriore edizione per conto di una diversa casa editrice. Vi terrò aggiornati.
Per chi volesse qualche ulteriore informazioni sul contenuto del libro, la può trovare qui.
Chi volesse acquistare una copia del libro la può trovare facilmente online, oppure richiedermela via mail al seguente indirizzo: davide.piazzi@gmail.com
Di seguito trovate altre annotazioni su I delitti della terza via, tra le quali la recenzionde del giornalista Ennio Masneri, e l’intervista con la giornalista Morena Fanti.
La recensione della giornalista Morena Fanti
I delitti della terza via
Inedition/edizioni di Lucidamente 2007
pp. 184, € 14,00
Quando Giorgio Macchiavelli, detto Macchia, di professione investigatore privato, risolve il caso della sparizione dell’adolescente Serena, non immagina che dopo pochi giorni si ritroverà immerso in un caso ben più grave e dai risvolti tanto violenti e tragici.
Una Bologna bellissima e immersa nella neve, fa da cornice a una vicenda dalle tinte molto forti e dai risvolti inattesi, in questo romanzo di Davide Piazzi, scrittore di racconti sfumati e malinconici, ora alla sua prima prova con il genere noir.
La tensione, seppur resa più sopportabile dal carattere ironico di Macchia e del suo amico Luciano Solmi, detto Lozzi, psicologo mancato e desideroso di risolvere misteri, che lo affianca nelle indagini, rimane sempre densa e avvince il lettore ansioso di capire chi si cela dietro gli episodi di violenza che turbano il clima altrimenti tranquillo della città.
E man mano si scende nelle pieghe tortuose della mente umana, si scende anche all’interno della città e dei suoi aspetti più segreti e subdoli, come in uno specchio in cui la città diventa simile ai suoi abitanti.
Le indagini proseguono tra sorprese e nuovi orrori, fino alla tragedia annunciata e ormai inevitabile.
Il ritmo è veloce, senza cadute di stile, e la storia è ben congegnata in ogni aspetto, compresa l’ultima inattesa sorpresa. Piazzi sa incatenare e trattenere l’attenzione del lettore e si arriva all’ultima pagina con l’amaro in bocca per aver concluso la lettura così velocemente.
Morena Fanti
Potete trovare la recenzione in versione integrale qui.
La recensione del giornalista Ennio Masneri
Il giallo italiano in una Bologna segreta e reale
Un thriller psicologico e teso: viaggio tra le sfumature nere della mente di un assassino
Quando si legge un giallo, si ha sempre, da parte di chi legge, il desiderio appassionante e appagante di indagare e risolvere misteri, attraverso i vari indizi e i moventi disseminati e nascosti apposta dagli autori di gialli, inclusi quelli sull’animo dei personaggi, al fine di sondare la mente umana descritta sulla carta e di scoprire il colpevole di quello o di quell’altro delitto. A volte ci si immedesima nel detective o nel commissario di turno o addirittura nella dolce vecchietta di christiana memoria.
Nel libro, pubblicato da Edizioni di LucidaMente/inEdition editrice (pp. 184, € 14,00) e dal titolo misterioso ed enigmatico come I delitti della terza via del bolognese Davide Piazzi, invece, già dalle prime pagine noi, inconsapevoli lettori, non diventiamo subito un tutt’uno con l’assassino di turno per sondarne la mente e infine capire la sua crudeltà psicopatica o con l’immancabile vittima per esserle vicini, in una sorta di legame misto di solidarietà e pietà, oppure con il classico e buon investigatore dall’aspetto duro o bonaccione o tutto sigarette e whisky o con il commissario con tanto di pipa di altrettanto simenoniana memoria. I personaggi di questo romanzo fanno la loro parte, non come burattini, nel giusto e spontaneo bilanciamento nella lotta tra il bene e il male, quest’ultimo sotto forma di malattie mentali nascoste, di orrori, di inarrestabili ed efferati omicidi effettuati per il solo piacere egoistico di farli. Ma nessuno di loro è il protagonista principale di questo giallo. E noi, nostro malgrado, ci troviamo ugualmente in mezzo.
Ad una lettura attenta, ci imbattiamo subito nel vero protagonista, un essere invisibile agli occhi di sconosciuti eppure visibile in tutti i giorni della vita agli occhi degli altri personaggi. È la città di San Petronio, Bologna, dove appunto è ambientata questa storia.
Incontri tra l’autore e Bologna, tra il lettore e i personaggi: una guida tra le pieghe dell’animo umano
Il lettore appassionato si immedesima in una città raccontata con toni crepuscolari, quasi romantici, con sfumature delicate, che nasconde segreti, illusioni, come pure gli orrori della vita quotidiana e reale. È la città che fa da padrone a tutto, con le sue vie, le sue strade, i suoi angoli bui e minacciosi, le sue piazze, i suoi monumenti (come la statua di Nettuno, il dio dei mari, posta, fa notare l’autore, in una piazza di una città distante un centinaio di km dal mare…), ma soprattutto con la sua aria carica di tensione, di amarezza, di cose nascoste, sconosciute e conosciute, ma troppo imbarazzanti da riferire a tutti. Un’aria a volte pericolosa che potrebbe portare chiunque alla depressione, ma che, eppure, sa risollevare l’umore ai suoi stessi abitanti, le vere vittime silenziose di quei segreti. Vittime della vita quotidiana. Sono persone normali, con menti normali, che vogliono uscire dalle loro gabbie che solo una minoranza di persone malate e malefiche vuole rinchiudere. Sono persone con una propria voglia di vivere, di risalire la china e di lottare per vincere contro chi, nel terrore e nell’orrore – “nel segreto dell’orrore”, direbbe un poeta –, ci vive e ci sguazza come un bambino capriccioso quando usa gli altri come giocattoli da torturare.
La matassa, già all’inizio, si fa ingarbugliata per poi dipanarsi man mano che si arriva alla fine.
Piazzi, nel suo primo romanzo giallo – una sorta di esperimento, diciamo –, ha saputo usare uno stile capace di stuzzicare, in ogni pagina che si sfoglia, in certe sfaccettature problematiche, in certi emozionanti sviluppi, in varie sfumature dell’incontrollabile animo umano, la nostra curiosità e, in certi casi, la nostra voglia di essere superiori nei confronti dei cattivi, fondendoci nella vittima, nel carnefice o nell’investigatore, che fa, nella trama, da co-protagonista alla città felsinea.
Egli, Piazzi, racconta Bologna. Non ne fa una mera descrizione da guida turistica come se ci volesse portare tra i meandri, le strade buie e le periferie emergenti della città felsinea, ma la descrive. La descrive come se fosse una persona in carne e ossa. Una persona forse triste e malinconica ma che possiede una forza benefica dentro di sé, sopita e pronta ad esplodere: «Il vento cambiò direzione e alle sue orecchie arrivo il lontano brusio della città. Non era il rumore delle automobili, di traffico […]. Era piuttosto un brontolio sordo, un sommesso e garbato rimprovero alla sua intenzione di gettare la spugna. Un alito di fiato con il quale dignitosamente chiedeva di non essere abbandonata al proprio destino. […] Un nuovo soffio di vento caldo arrivò ad abbracciarlo» (p. 180).
E così l’autore ha saputo raccontare l’anima di ribellione di questo luogo, in quanto ci è nato e ci vive ancora. Si rende testimone di un’analisi psicologica sia dei personaggi della trama, che possono essere benissimo chiunque nella vita reale, sia di Bologna stessa.
Piazzi sa cosa ha bisogno il lettore. Sa che lui ha bisogno di nuovi stimoli e quindi imbastisce una storia aggrovigliata. Lo spinge a fondersi, facendogli leggere le sue righe, nella mente disperata della vittima o in quella perversa dell’assassino. Lo tiene per mano e lo porta, come un esperto Virgilio, tra i gironi di una sorta d’inferno dantesco, gettando qua e là qualche spunto storico per spiegare i motivi di questa o di quella struttura, qualche descrizione di luoghi nascosti come i sotterranei della città, e aggiunge pure un po’ di ironia e di auto-ironia tanto per sciogliere quanto basta la corda, per allentare la morsa di tensione che attanaglia il lettore per poi riprenderlo in quella strada fantastica dell’analisi delle caratteristiche dell’animo umano senza per questo ridurre la suspense.
È un mix di azione, di sentimento, di ambienti malinconici, di storie parallele, di misteri che si dipanano, si aggrovigliano ancora per poi risolversi in soluzioni inaspettate che potrebbero sorprendere chiunque. È come un film, un thriller hollywoodiano, e l’autore è un regista che offre tutta la sua attenzione alla fotografia, alla scenografia, ai dialoghi e ai costumi. Costruisce, o meglio crea, e scava nell’animo umano. Ci scava e ne cerca le angosce, le ansie, gli orrori, i perché delle violenze psicopatiche, ma anche le speranze – quelle vere, non le false illusioni – di chi cerca di sopravvivere, in una lotta quotidiana, a questi dolori.
Il romanzo
È una vicenda ambientata nell’inverno del 2005 ed incentrata su una mente malata perversa e sul suo percorso. Una psicosi amante degli snuff movies – orrendi filmati di violenze e torture reali che culminano spesso nella morte della vittima (pratica che, storicamente parlando, risale all’antica Roma con i gladiatori, le battaglie navali o le esecuzioni vere in diretta all’interno di tragedie teatrali). Così lo scrittore dà il via a un intreccio sapientemente costituito da incastri. Egli, inoltre, parla del passato di quasi ogni personaggio per aiutarci ad indagare meglio e per dare maggiore suspense alla storia stessa.
Chi è il colpevole? Chi è l’amico e chi il nemico? Chi può essere il traditore e il tradito? Queste sono solo alcune delle domande che ci siamo fatti quando abbiamo sfogliato le pagine di questo romanzo giallo.
E, quando una storia finisce, ne inizia un’altra, sempre col capoluogo emiliano come protagonista.
Non riveleremo come si concluda la ben ordita trama di questo libro, tanta è la tensione provata, i brividi che si sentono salire lungo la schiena man mano che la trama si fa sempre più fitta, da non pentirsi di averlo letto tutto d’un fiato. È un libro che terrà attaccati alle sue pagine gli occhi di un lettore attento ed amante dei gialli. Sarà il lettore stesso a scoprire se la storia finisce bene o male. Sarà lui che dovrà cercare le risposte che possano risolvere quelle domande che diventeranno ben presto sue e di sicuro troverà alla fine i riscontri tanto agognati.
La vera città degli Asinelli
Badi, però, il lettore. L’autore, con questo esperimento molto riuscito, e di sicuro non il primo, non vuole parlare male di Bologna. Si fa carico della testimonianza di chi, vivendo la propria vita, scopre, magari involontariamente (in famiglia, tra gli amici, nei condomini), quei mali nascosti, quelle crudeltà irrazionali, che non avrebbe mai voluto scoprire tanto forte è il dolore.
Piazzi intende delineare nelle sue caratteristiche migliori una città che, come tante altre, avrà, sì, scheletri nell’armadio, ma che è soprattutto un luogo affascinante, misterioso e conosciuto finché si vuole, senza pregiudizi, un luogo operoso che esiste realmente e che vuole vivere e sopravvivere al di sopra degli orrori che esistono dappertutto, oltralpe e nel mondo.
Un “topos” che, insomma, tiene e vuole trattenere quello stesso calore umano che il lettore di sicuro possiede. Un calore capace di uscire fuori dalla nebbia, da quella nebbia opaca e nera dei pochi adoratori del male e del terrore, di distruggerla e di abbracciare gli ideali sinceri dei suoi veri protagonisti quotidiani e fantastici.
Ennio Masneri
l’intervista della giornalista Morena Fanti
La terza via è all’incrocio tra orrore e malvagità
Un incontro con Davide Piazzi
di Morena Fanti
In questo romanzo, I delitti della terza via (Inedition 2007 – 184 pp. 14,00 euro), dalle sfumature cupe e dolorose, Davide Piazzi ci racconta, con una scrittura molto scorrevole e avvincente, un aspetto torbido e inquietante dell’anima umana. Ci mostra come diventa l’anima quando sembra perdere tutte le parvenze di umano e di umanità.
La scrittura di Piazzi è tesa ma non ‘offensiva’, e coinvolge ma non angoscia, pur con la forza e l’impeto del tema trattato. Una scrittura che ci convince nelle sue sfumature e nel carattere discorsivo ed efficace. I personaggi hanno un loro carattere ben delineato e ci conquistano da subito: da Macchia e Lozzi, coppia di amici molto affiatati persino nei litigi, a tutte le altre persone coinvolte, fino a quello che poi si rivelerà essere… e qui mi fermo per non sciupare il divertimento di chi leggerà il libro.
Parliamo di questo e di altri aspetti della scrittura direttamente con l’autore Davide Piazzi.
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· Prima di approdare a questo romanzo, un noir con aspetti molto crudi e violenti, hai scritto tanti racconti in cui si legge un’anima a volte romantica e sognatrice, altre allegra e ironica. Due scritture, quindi, molto diverse tra loro. Come ti sei sentito affrontando la scrittura di questo romanzo?
All’inizio ero a disagio, proprio perché per la prima volta mi stavo cimentando con un genere con il quale non avevo molta confidenza, se non come lettore. Poi, dopo le prime poche pagine, ho cominciato io stesso a immergermi nella storia che stavo scrivendo, e ogni volta che mi sedevo davanti al computer non vedevo l’ora di andare avanti nella stesura del testo per scoprire cosa sarebbe accaduto nelle pagine successive. Alla fine è stato molto piacevole e divertente.
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· L’ambientazione del tuo libro è una Bologna molto ben descritta e, mi pare di leggere tra le righe, molto amata. Ci sono, infatti, delle pagine bellissime in cui io, da bolognese doc, mi sono persa, ritrovando nelle tue descrizioni le atmosfere e i ritmi della mia città. Quanto è importante la giusta ambientazione per un buon risultato di scrittura?
A mio avviso è fondamentale. Scrivere questo libro è stato facile proprio perché l’ho ambientato in un contesto che conosco molto bene, in una città che ancora riesce a conquistarmi. Ho potuto attingere dal serbatoio dei ricordi della mia adolescenza, quando tra amici si partiva con lo scooter da Budrio, il piccolo paese di periferia nel quale sono nato e vivo tutt’ora, per andare alla scoperta di Bologna. Ai nostri occhi la città appariva come un enorme luna park ma, a volte, anche come una giungla misteriosa e pericolosa, da esplorare con la paura e l’eccitazione che ci venivano offerte da tutto ciò che ci stava attorno, e che in gran parte ci era sconosciuto.
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· Il personaggio di Macchia è così bene caratterizzato da far desiderare al lettore di andare in centro e suonare al suo campanello per vederlo e parlarci. Come si crea un personaggio così ben strutturato? Per i tuoi personaggi ti sei forse ispirato a persone della vita reale?
Macchia è ovviamente un personaggio di fantasia, ma non nascondo che, per alcuni versi, mi somiglia. Io e lui abbiamo la stessa voglia di sdrammatizzare e di cercare di avere sempre una visione positiva delle cose. Entrambi prendiamo la vita sul serio, cercando però sempre il modo di non finire schiacciati sotto il suo peso. Sì, in genere mi ispiro a persone vere. Le osservo, studio il loro modo di parlare, il carattere, i gesti, le movenze del corpo. In poche parole: la loro personalità. Successivamente cerco di fondere insieme gli aspetti più interessanti di ciascuno di loro, e regalo queste caratteristiche ai personaggi che sono invece frutto della mia fantasia.
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· “Pensi che potrebbe aiutarti a capire chi sono e a scoprire perché faccio tutto questo? E lo farò ancora, sai? Farò anche di peggio. Tu non mi puoi fermare, nessuno può farlo. Io non posso essere fermato, perché io non esisto più. Io sono solo dolore e rabbia.” Questa frase pronunciata da chi si pensa essere l’aggressore che minaccia di aprire la “terza via”, è tanto affilata da affondarsi nel cuore di Macchia e anche nel nostro. Come si riesce a calarsi in una mente malata e a pensare come un assassino?
Questa, in effetti, è stata l’operazione più difficile da realizzare. Ho realmente cercato di sentire io stesso ciò che prova nel racconto il personaggio che hai citato, perché ritenevo fosse il modo migliore per trasmettere quelle sensazioni al lettore. Ho cercato di vedere con i suoi occhi e di ragionare con la sua mente. Ho provato inoltre a immaginare cosa stessero provando le vittime, e devo ammettere che durante la stesura di alcuni passaggi mi sono accorto che trattenevo il respiro, o che il cuore pulsava più forte. Il male è difficile anche da raccontare.
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· Stiamo assistendo ad un proliferare di romanzi classificabili sotto il genere noir. In un breve articolo sul «Corriere della Sera», Antonio Debenedetti afferma: “Non so immaginare, alla luce di recenti e feroci delitti (Cogne, Garlasco, Perugia, eccetera), un tipo di narrativa più rispondente del noir alla realtà d’oggi. La sua moda, se di moda si tratta, deriva dal bisogno di un vasto pubblico di capire, avvicinandole attraverso la finzione romanzesca, le irragionevoli ragioni del crimine. Con qualcosa in più. I thriller, a contrario di quanto avviene nella cronaca, si concludono con la scoperta del colpevole, restituendo così una positiva e compromessa fiducia nella giustizia.” Come a dire che la nostra sete di giustizia può essere placata solo dalla finzione del romanzo. Cosa pensi di questa affermazione?
Credo che con i noir, così come con i gialli, non si plachi affatto la sete di giustizia. Probabilmente il successo di questo tipo di letteratura sta nel fatto di riuscire a regalare l’illusione che alla fine il bene trionfa quasi sempre e che i colpevoli saranno tolti dalla circolazione evitando in questo modo che possano nuocere ancora. I gialli non fanno giustizia, ma forse ci regalano la speranza di potere vivere ancora in città che ci consentono di passeggiare a qualsiasi ora del giorno o della notte senza sentirci a disagio o, peggio ancora, intimoriti.
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· Ti senti diverso, ora che hai pubblicato questo libro? Hai già altri progetti in cantiere?
“Il successo non mi ha cambiato. Sono rimasto il solito ragazzo di Betlemme di sempre”. Perdonami, non ho resistito: quella che ho citato è la battuta che ho trovato in una delle vignette più belle di Ratman, un fumetto comico che adoro. Scherzi a parte, la risposta è no, non mi sento assolutamente diverso e sono rimasto con i piedi ben piantati a terra, anche se devo ammettere che trovo molto piacevole e gratificante ricevere tanti complimenti da chi ha letto il libro. In questo momento sto lavorando a un secondo romanzo giallo, che avrà ancora come protagonisti principali Giorgio Macchiavelli e Luciano Solmi. Sarà una storia completamente diversa da quella de I delitti della terza via, e spero che possa piacere allo stesso modo. Ho deciso di chiedere ancora una volta la collaborazione di Macchia e Lozzi per risolvere un altro caso perché sono davvero in tanti quelli che mi chiedono quando potranno leggere un’altra storia con gli stessi protagonisti. Inoltre, se devo essere sincero, questi due amici cominciavano davvero a mancarmi.
Davide Piazzi è nato a Budrio, dove tuttora risiede, il 17 settembre 1967.
Ha iniziato a lavorare da giovanissimo e ha svolto molti lavori diversi che l’hanno aiutato a vedere i tanti aspetti della vita e delle persone, cosa che ha poi applicato alla sua scrittura.
Durante un recente percorso di studi ha conosciuto il dottor Rino Tripodi, direttore editoriale della in Edition editrice di Bologna e scopritore di nuovi talenti letterari. Dai semplici temi svolti per motivi di studio, ha così finalmente trovato il coraggio di fare leggere a qualcuno i racconti che scrive da sempre, e che ha sempre tenuto chiusi in un cassetto.
Le prime storie sono state pubblicate su riviste telematiche, e nel 2005, con il racconto Il paese dei sospiri, ha vinto il primo premio a un concorso organizzato dal “Rotary Club Valle dell’Idice”, con annesso cospicuo assegno di 500 euro. Memorabile la frase di Tripodi “meglio gli assegni che i trofei: anche gli artisti hanno una pancia da riempire”.
Questa conferma e gratificazione gli hanno dato sicurezza dei propri mezzi espressivi, ed è approdato alla scrittura del primo romanzo, I delitti della terza via (in edition 2007), un giallo ambientato a Bologna, città che conosce da sempre.
Sta già lavorando alla stesura del secondo romanzo.
Suoi racconti pubblicati:
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Azzurro e blu
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Amica, amata, amore
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Il grande enigma della guerra – racconto divertente e surreale
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Il paese dei sospiri – Primo premio al concorso organizzato dal “Rotary Club Valle dell’Idice”
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Il dilemma animalista – Più che un racconto, è un breve trattato sul tema della vivisezione e della sperimentazione sugli animali.
L’intervista la trovate anche nel sito della giornalista Morena Fanti, qui.